“Memorie di un ex capo brigante” è l’opera editoriale di Erminio De Biase che verrà presentata sabato prossimo, 6 maggio alle ore 17.00, nel noto locale libreria, Caffetteria, Sala da thè, Bibliotè sita a Sora in via Lucio Gallo. I relatori saranno Alfredo Damiani, presidente dell’Associazione Babbaceglie, la Prof.ssa Maria Ornella Cristalli in Farese, storica del Regno, Fernando Riccardi, Storico e giornalista, Claudio Saltarelli, presidente Associazione Alta Terra del Lavoro, Erminio De Biase, storico e traduttore del libro.
Si potrebbe quasi dire che il libro originale di Johann George Zimmermann, tradotto ora, per l’appunto, da De Biase, è stato scritto per parlare male di Chiavone. Viene descritto come vigliacco, vanaglorioso, incapace al comando. Ma così non è. “Chiavone – scrive infatti De Biase – non può essere un vigliacco come Zimmermann si ostina a definirlo“.
“Luigi Alonzi (Chiavone) doveva essere, per sua natura, sgusciante come un’anguilla e quella che Zimmermann insistentemente definisce vigliaccheria era, presumibilmente, molto di più: ossia un istintivo adattamento alle varie pretese del tedesco, un sorta di condotta per farlo ‘fesso e contento’, insomma“.
La ruggine che c’è tra Chiavone e Zimmermann è frutto della incomprensione e competizione che caratterizzavano in quegli anni i nativi guerriglieri ‘regolari’ e i mercenari stranieri, entrambi combattenti contro i Savoia piemontesi e per il ritorno dei Borbone nell’ex Regno delle Due Sicilie. E Zimmermann era un mercenario.
Quello che avveniva tra Zimmermann e Chiavone tra le montagne di Sora e nel Lazio, succedeva anche tra Crocco e Borges in Basilicata. E furono proprio gli stranieri Tristany e Zimmermann, entrambi sospettati di essere doppiogiochisti e spie, a decretare la condanna a morte di Chiavone.
Ma se queto è Zimmermann perché leggere il suo libro? “Perchè – come dice lo stesso De Biase – si ha l’opportunità di osservare i Briganti, oltre che nelle azioni di guerriglia, anche nel loro ‘quotidiano’: li vediamo marcire per giorni sotto la pioggia, correre per ore ed ore su piste accidentate, sfamarsi quando, come e dove, possono e dissetarsi con neve sciolta”.
Nella prefazione del libro, Zimmermann dice di descrivere quello che egli stesso ha vissuto o quello che ha appreso da persone degne di fede, ma dice anche di condannare la sua scelta di allora di combattere insieme ai Briganti.
Una notazione interessante dello Zimmermann riguarda il ruolo che svolgevano i giornali dell’epoca. I Briganti – dice – non avevano giornali a loro disposizione; con le loro brave ‘scoppette’ riuscirono, per anni, a tener lontane le decine di migliaia di soldati del re piemontese, ma non i suoi scribacchini, che divulgavano in tutta l’Europa l’idea che i Briganti fossero dei banditi criminali. “Contrastare le innumerevoli bugie e le calunnie di quei pennivendoli è uno degli scopi primari di questo libro“, scrive Zimmermann. Ma anche lui in tutto il suo libro, poi tradotto da De Biase, non ha scherzato nel diffondere bugie e calunnie.
Tutto il libro è di piacevole lettura ed accattivante. Si apre con l’arrivo dello Zimmermann a Roma la sera del 29 agosto 1861, si prosegue con l’incontro con Chiavone sul Monte Favone che sovrasta Sora, con la descrizione del modo di vivere e di vestire dei Briganti, della biografia di Chiavone ovviamente negativa, del combattimento nel Bosco di San Silvestro del 10 settembre 1861, di battaglie contro i soldati francesi e piemontesi.
Un capitolo interessante è quello dove si descrive l’organizzazione della truppa di Chiavone, composta dallo Stato Maggiore e da otto compagnie. L’intera truppa contava, quindi, venti ufficiali, un medico, cinquantanove sottufficiali e caporali, sette trombettieri e trecentoquarantatrè soldati, per un totale di quattrocentotrenta uomini.
Il 28 giugno 1862 Tristany e Zimmermann fecero fucilare Chiavone. “La mia missione in quei luoghi era, dunque, finita” – scrive Zimmermann nell’ultima pagina del suo libro. E ritorna a Roma, per poi sbarcare a Venezia.